Il mondo pittorico di Carmela Corsitto è un mondo del tutto siciliano, popolaresco, quasi dialettale, di gente di campagna e di mare: di contadini, di pastori, di paesani, di pescatori, di borghigiani, di barcaioli.
Una galleria di personaggi che sta a significare la coerenza ispirativa della pittrice costantemente sollecitata dalla profondità della sua partecipazione emozionale. Dialetto. Ma di quello che ci ha dato certe ingemmazioni indimenticabili nelle pagine del Meli o del Buttitta. C'è, per vero, un contrasto evidente tra le componenti della pittura della Corsitto: una tematica che si affida alla concretezza della consistenza fisica, alla calamitazione di visioni umane elementari, alla rudezza, alla veridicità, alla sostanzialità solida, corporea ed effettuale dei suoi personaggi, colorandoli di una somma di toni sensibilissimi al loro coinvolgimento nell'ambiente, in cui l'insensità dell'ora, vuoi meridiana vuoi vespertina, infonde un turbamento talvolta struggente.
Ma certe trepidazioni, certe inquietudini, certe apprensioni plastiche, vengono tutte dalle terre spesso attutite o sopite, riserbando a qualche rara esaltazione timbrica alcuni stacchi e spicchi di assolo. In fondo, ciò che la Corsitto vuole esaltare è, nell'uomo, i sentimenti più spontanei e naturali: la vitalità più terrestre, il lavoro che slomba, la speranza che racconsola, la rassegnazione che rattrista, l'amore che eleva, l'angoscia che logora e lascia il segno rimodellando i volti secondo un denominatore comune che anticipa gli anni e le stagioni, la forza dell'istinto, le risorse della sopravvivenza, l'abnegazione del cuore.
E, come tema di fondo, la fiducia nella provvidenza che si rispecchia ugualmente nelle bufere e nelle quieti della terra come nelle tempeste e nelle bonacce del mare.
Una pittura di tal genere nasce da una genuina e insopprimibile esigenza di dare testimonianza. E ne deriva la scelta irrefragabile di una espressione decisamente figurativa, direi, secondo i canoni di quel verismo che ha le sue scaturigini e il suo hinterland del nostro profondo sud: e ciò perché qui, più che altrove, il problema sociale umano si evidenzia in modo veemente e spesso drammatico.
Ed ecco la conseguente e coerente predilezione tematica: gli operai, i campagnoli, le umili donne del popolo, i vecchi dai visi corrosi dal sole, dalla salsedine e dalla fatica, ma anche le giovani donne che si affacciano con molti sogni alla vita ma che la vita già condiziona e spegne, e persino i teneri volti dei bimbi il cui liliale candore sembra già offuscato dal presagio di un oscuro domani.
C'è, in tutto questo, un sentimento affettuoso di partecipazione, una fraterna capacità di condolersi con i patimenti degli altri che nasce dall'amore.
E quella molla segreta del suo lavoro, Carmela Corsitto la palesa oltre che negli esiti squisitamente pittorici (tutti tesi alla meditazione sulla condizione umana) anche nella sua facoltà di racconto che mai cede all'illustrazione perché si fa tessuto pittorico e si realizza in una orditura che incorpora il disegno nel colore e le immagini nel contesto ambientale.
Per questo la tavolozza che Carmela Corsitto orchestra – così filtrata e insieme intrisa di sottili vibrazioni umorali – si fa specchio fedele dell'umanità che rappresenta e s'insinua nelle sue pieghe più segrete congiungendo in un solo clima spirituale tutte le albe, tutti i meriggi e tutti i tramonti, facendo confluire passato, presente e futuro entro l'alveo di un fiume di cui sia ignota la foce.